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Italians_Una_giornata_nel_mondo

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Buonanotte amore

Claudio Contrafatto

Fanno rumore duemila caratteri. I continui battiti sono un metronomo che dà tempo ai pensieri, ordina i sentimenti e i desideri. Dare ordine al tempo è quello che dovrei fare, costruire un futuro pieno di ogni parte di me stesso. Ma ora è notte, il futuro prossimo si chiama giorno ed è a quello che devo pensare. Intanto cerco parole semplici in grado di far giungere a voi i colori percepiti dai miei occhi, trasportando il tepore che questa stanza gelosamente custodisce, concedendo la calma che a quest’ora tutto circonda. Fuma la tazza. Linee irregolari ascendono al soffitto obliquo, di mansarda. Propongono all’ambiente un aroma di arancia, miele di zagara disciolto nella camomilla, piacere notturno che concilia il sonno. Attorno tutto riposa; nelle altre stanze la luce si è nascosta, lasciando il compito di sorvegliare a un piccolo led rosso che, dalla televisione, si impone come unico guardiano della forma delle cose. Angela dorme, nei suoi diciotto anni carichi di curiosità per il domani. Dorme Stefania nei suoi venticinque, con lei riposano le ansie che piano piano sembrano voler prendere il posto dei sogni. Lentamente si addormentano mamma e papà, gli occhi sempre più stanchi, i visi sempre più belli. A farmi compagnia ci pensa il ruggito del mare. È imperioso stanotte, si avventa senza sosta sulla costa. Come un vecchio lussurioso cerca passione forzata da una donna troppo stanca per poterlo accogliere, troppo arida per sorridergli. Non ho ancora voglia di dormire. Solitamente non rispondo al primo invito portato dalla notte. Così il sonno offeso reagisce rifugiandosi tra le stelle, ama essere desiderato. Forse viene da te, pronta ad accoglierlo in un’espressione rilassata, in un morbido sorriso. Sorridi per me nei tuoi sogni stanotte, sorridi delle mie parole che parlano di te e della mia paura di non essere in grado di risvegliare il tuo sorriso tutte le volte che ne hai bisogno. Buonanotte amore.

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Notte a Palermo

Mariateresa Villani

Siamo stipati in cinque in una vecchia due cavalli decappottabile e stiamo gironzolando tra le vecchie stradine del centro storico di Palermo, cantando a squarciagola canzoni degli Inti-Illimani. I nostri amici siciliani ci fanno da cicerone in questa splendida e contraddittoria città. Abbiamo cenato alla grande e con pochi soldi (siamo negli anni Settanta) e adesso, prima di continuare il giro, posteggiamo in via Garibaldi, in attesa che Beppe salga a casa sua e prenda qualcosa che ha dimenticato. Tonf, pam, scascc: madonna, ma che succede? Un sacchetto della spazzatura, lanciato da un piano alto, ha centrato in pieno il cofano della nostra auto, spandendo immondizia ovunque! Fortuna che non è entrato dentro dal tettuccio aperto! Inizia una mega discussione tra noi «nordiste» e loro «sudisti» sul ruolo che gli enti pubblici dovrebbero avere nella raccolta dei rifiuti (secondo loro) e la collaborazione civile che i cittadini dovrebbe comunque offrire (secondo noi). Non arriviamo a un accordo, ognuno rimane sulle sue posizioni. Riprendiamo il giro turistico. In un vicolo stretto e buio scorgiamo un locale illuminato. Incuriositi ci fermiamo e guardiamo: un fabbricante di bare in quel momento ne sta costruendo una piccola e bianca. Affascinati e sgomenti continuiamo a fissare l’uomo che, accortosi di noi, ci chiede: «Serve qualcosa?». Sgommando ci allontaniamo e ci dirigiamo verso la marina, in cerca di una granita.

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Innamoramento

Elisa Santurri

Ora vi racconto la notte scorsa passata quasi in bianco tra le lenzuola tormentate del mio letto, il tavolaccio della cucina e il divano consolatorio del salotto. Quel che ho da dire non è di alcuna importanza per i gravi fatti che in questi giorni stanno sconvolgendo l’economia e la finanza mondiale, né per le elezioni presidenziali americane, né tanto meno per le sorti di questo o quell’altro partito politico italiano, ma solo per la mia esistenza. E non è poco, ve l’assicuro. Ho conosciuto un uomo. Voi direte: «E che sarà mai? Non sei e non sarai né la prima, né l’ultima!». Sì, può darsi. Eppoi, di fronte ai problemi dell’universo intero, la pretenziosità di ergersi al di sopra di essi appare fin troppo arrogante. Ma il mondo è fatto anche di questo. Di gente come me che all’improvviso si ritrova innamorata e che per questo dà un nuovo impulso alla vita, all’universo intero. Se vi dico che quando lo guardo o quando sento la sua voce al telefono, mille farfalle cominciano a sbattere freneticamente le ali nello stomaco? Che cos’è questo se non un miracolo della natura? Se poi si aggiunge che erano anni che non mi succedeva... Da quattro per la precisione. Da quando ho chiuso con quel bradipo di Valerio. Una storia che si trascinava lentamente – appunto! – da troppo tempo. Con lui ho avuto l’impressione di essere invecchiata precocemente. Ma non solo dentro, tra le pieghe dell’anima, bensì anche nel fisico. Scrutarmi nello specchio e scoprire una sfumatura grigia tra i capelli e una luce ferrigna sotto gli occhi. È stato il giorno in cui ho visto riflessa l’immagine spenta di me stessa che l’ho mollato. Mollato è proprio il termine giusto. Una questione di sopravvivenza. Ora, sono le due del mattino di un tiepido giorno di primavera e non riesco a dormire. Le farfalle si agitano troppo e a niente è servita la tisana, lo zapping televisivo, le pagine del bel libro di Pamuk. Ovunque vedo il suo sorriso, i suoi capelli sale e pepe o le sue spalle grandi e protettive.

Ore 03

Flebo

Lalla Careddu

Chissà perché le luci di un pronto soccorso sono uguali a quelle di un commissariato. E ti ci fanno sentire pure così. Imputato. Imputato di romper le balle con la tua colica alle quattro del mattino. L’addetto al «triage» (a vederlo hai dei dubbi che sia maggiorenne o che mai abbia letto un libro in vita sua) deve decidere se la mia colica ha un codice bianco, verde, giallo o rosso. Con l’occhio bovino decide che sì, posso ancora soffrire una manciata di tempo nella sala d’aspetto, piegata e sudata. Fuori il buio umido avvolge il sonno dei miei concittadini, ubriacati di paperissimesprint e portaaportadaleimifareitoccarepresidente. Non c’è nulla come una colica lancinante alle tre del mattino che ti faccia vedere con chiarezza la stupidità di tutto questo. Nella sala d’aspetto hanno piazzato uno schermo che trasmette repliche, guai se mentre stai per crepare ti perdi l’ultima battuta di Mentana. Sotto lo schermo una macchina simile al bancomat ti consente di pagare il ticket senza sforzo con il bancomat. La bocchetta del bancomat è ad altezza di barella. Puoi contorcerti o esalare l’ultimo respiro con una tessera magnetica in mano guardando Mediaset su di te. Fichissimo. Sono accolta dal medico di turno che manco mi guarda, ma riempie i moduli della mia vita battendo con due dita su una tastiera. Batte su quella tastiera come un babbuino ammaestrato. Queste sono le regole. Prima il modulo, poi si volge lo sguardo. Molto poi. Sudo. Ho voglia di vomitare. Son passate due ore o una vita, non lo so. Non hanno l’antidolorifico, porcasanità. Una infermierina con la french parte in ricognizione, lo ruba al reparto del piano di sopra. Quatta quatta mi inietta il bottino. Posso pian piano respirare e riprendermi un briciolo di dignità. Non hanno l’antidolorifico in questo avamposto della sanità della Sardegna terra di costasmeralda, di certosa e giostre per i nipotini del premier. Terra di mille province e comunità montane. Buonanotte Assessore.

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Californian dream

Andrea Bergman

«A cosa pensi?» mi hai chiesto, mentre stiamo volando verso Los Angeles. «A nulla» ho risposto d’istinto, non aspettandomi la domanda. Non hai replicato, ti sei rannicchiata pigramente sul sedile reclinato e, poggiando la testa sulla mia spalla, ti sei addormentata. È notte. Sono da poco passate le tre. Le luci sono spente. Ho chiesto alla hostess un plaid e ti ho coperto. Sembri una gatta che fa le fusa. A cosa penso? Sto pensando a te. A quanto è diventata ricca la mia vita da quando ti ho conosciuta. Tu sei così solare, ottimista, piena di vitalità, estroversa. Sei così giovane. Così bella. Ho avuto la fortuna degli audaci, anche se audace proprio non sono. Sei stata tu a fare il primo passo, non poteva essere altrimenti. Tu hai deciso di lasciare la tua casa dicendo: «È meglio da te, c’è più spazio!». Pragmatica. Hai portato la tua allegria e un po’ di caos. Sto pensando che sono felice, che questo viaggio è una prova del tuo amore. Sto pensando che vorrei parlarti più spesso d’amore, ma la mia timidezza mi fa deviare sugli argomenti banali di tutti i giorni. Hai detto con la tua solita grinta: «Voglio avere un bambino! Il nostro bambino!». Perentoria, sicura di te. E ora eccoci qui, in volo verso la California. Sto pensando che dopodomani avremo il nostro primo incontro alla Cryobank. Sto pensando al futuro con l’ottimismo che mi hai trasfuso... «Tesoro, svegliati, tra circa un’ora atterriamo, dobbiamo rassettarci un po’.» Apro gli occhi, sentendo la tua voce che mi sussurra all’orecchio. Mi volto e guardo i tuoi occhi neri, profondi. Quegli occhi che mi hanno fatto innamorare. «Hai fatto un bel sogno? Ti vedo sorridente» mi chiedi, accarezzandomi il viso. «Sì, bellissimo, ma non ne voglio parlare, per scaramanzia» rispondo. «Sai, lo so che dovremo affrontare molti pregiudizi, ma unite supereremo tutte le difficoltà» affermi con forza. La fisso e dico: «Bea». «Sì.» «Ho sognato una famiglia felice. La nostra!»

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Milan-Juve 3-2

Pietro Paolo

L’appuntamento è fissato sotto casa per le 3.00 della mattina. Piero arriva alle 3.20. Sono già in ansia. Ho una paura devastante di perdere l’aereo e di conseguenza perdere la partita. Salgo in macchina e si accende una sigaretta. Sono le 3.22 e sta fumando, ora del ritorno a Milano, partita compresa (più o meno 28 ore), saranno stati fumati 3 pacchetti di sigarette a testa. 1 pacchetto = 20 sigarette. 1 × 3 = 60. 60 : 28 = 2,14. 2,14 sigarette ogni ora. 1,07 sigarette ogni mezz’ora, poco più di mezza sigaretta ogni quindici minuti. A testa. Finalmente siamo in autostrada, non c’è nessuno, mezz’ora al massimo siamo in aeroporto. E invece no, all’imbocco dell’autostrada direzione Varese... incidente. No, non ci credo. Deviati fuori dall’autostrada, nel buio più totale della pianura padana, in mezzo a campi e piccole strade e paesini con nomi, secondo me, inventati quella notte dai tifosi juventini per non farci arrivare a Manchester. Hanno paura di noi. Ci sono altre tre macchine. Sicuramente tifosi milanisti. Si prende una curva, poi un’altra, poi dritti, una strada senza illuminazione, un cane abbaia, accendo una sigaretta, quelli davanti a noi si fermano e tornano indietro. Ci siamo persi. È iniziato malissimo. Sarà un presagio. Perderemo la finale. È il destino che ci parla. La macchina si rimette in moto. Mi accendo un’altra sigaretta, un cane abbaia, una strada senza illuminazione, poi dritti, una curva, poi un’altra. Gli altri si fermano ancora. Piero gira improvvisamente a sinistra, si accende una sigaretta e dice: «La so». Sembra il campione dei campioni di rischiatutto, non ne sbaglia più una, in venti minuti siamo all’aeroporto. Grande! Ehi, ho detto il campione dei campioni. Sarà un presagio. Vinceremo la finale. È il destino che ci parla. Mi viene in mente la formazione dello scudetto della stella e la recito come la preghiera del mattino. Terminal B Gruppi. Non siamo in ritardo, nessuno è in ritardo. Siamo i tifosi del Milan. Tutti insieme un unico cuore che batterà, soffrirà e gioirà all’unisono. Milan-Juve 3-2.

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Maledizioni Per3

Michele Spallino

«Un team di ricercatori dell’Università del Surrey ha rivelato di aver trovato un legame tra la predisposizione a vivere l’alba o la notte e il gene noto con il nome “Periodo 3” (Per3), coinvolto nella regolazione dei ritmi sonno-veglia dell’organismo. Ciò che farebbe di noi dei mattinieri o dei nottambuli sarebbe nello specifico la lunghezza del gene: tanto più il Per3 è corto, tanto più il portatore è nottambulo.» [«Focus»] Ho il Per3 corto allora, e da un canto me ne vanto. Dei mattinieri – «le allodole» – ho sempre avuto una percezione da ossessivi, primi della classe, che saltano giù dal letto con il testosterone già eccitato, come avessero la caffeina tra i globuli rossi. Eppoi è nota la seducente poeticità della notte, la superiorità del tramonto sull’alba. A dirla tutta al mattino non la penso affatto così, quando si rinnova la mia guerra col mondo e con la sveglia, e maledico me stesso per aver tardato di nuovo. E futilmente. Perché tutto ciò che m’ha tenuto sveglio al mattino appare poi futile di fronte a cotanta sofferenza. In fondo sono figlio dei miei tempi: la notte al computer, quasi mai per cazzeggio, per aggiornare un paio di blog, scrivere due robe o distrarmi, proprio da una giornata davanti al computer. E non sono certo l’unico, a giudicare dalle statistiche dei miei blog. L’internetnauta è per definizione un gufo in codice binario. (A farci caso, del gufo, ha anche gli stessi occhi a palla.) L’internet-nauta si evolverà non solo sviluppando dita più lunghe e posture andreottiane: gli si rattrappirà ulteriormente il gene «Per3». Prevedo quindi uno spostamento dei bioritmi collettivi, un cambio di abitudini sociali. Prevedo soprattutto che a partecipare scegliendo questa fascia oraria, e scrivendo proprio a quest’ora (come sto facendo), saremo in parecchi. Così vi saluto, colleghi di veglia davanti allo stesso totem luminoso. Vado a letto. Che domattina è un altro giorno per maledire, guarda un po’, questi minuti che mancano alle quattro.

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